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aumentando la contribuzione di ogni individuo coinvolto in tale processo.

Le Tasse hanno due facce

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A giugno e a settembre di ogni anno il tema delle tasse diventa un tormentone vuoi perché si devono pagare saldo e acconto delle imposte, vuoi perché si spera sempre che la nuova legge di bilancio le diminuisca per il futuro.

Nei dibattiti della gente comune, dei politici e dei tecnici, il tema principale attiene normalmente all’aliquota del prelievo (impositivo o contributivo) e gli argomenti a sostegno delle diverse tesi hanno tipicamente ad oggetto il profilo di impiego rispetto alle imposte e tasse di cui si implora la diminuzione: se riduci il cuneo fiscale, i lavoratori dipendenti possono aumentare i consumi e le aziende assumere di più; se riduci l’IRPEF, riduci la propensione all’evasione fiscale e via dicendo.

Tutto condivisibile in principio. Ascoltando o partecipando a queste discussioni, però, mi torna in mente una frase che diceva mio padre: “il problema è avere un socio al 50% (ndr: lo Stato, beneficiario di un’aliquota del 50% sui redditi) che fa poco o nulla”. Eh già ! se alle aliquote fiscali sui redditi da lavoro sommiamo imposte e tasse locali (comunali e regionali) e quelle indirette, anche i contribuenti che muovono da uno scaglione d’imposta medio finiscono con subire un prelievo complessivo vicino alla metà dei redditi.

A dire il vero, la frase di mio padre richiamava l’attenzione su un profilo che ritengo molto importante e che spesso oggi viene ignorato: l’equità della doppia faccia del momento impositivo. Da un lato, il termine ‘tributo’ riferisce a ciò che viene prelevato dallo Stato ma, dall’altro, anche ciò che si riceve dallo Stato. Non bisogna dimenticare, infatti, che tasse e contributi rappresentano la quasi totalità delle entrate di uno Stato, attraverso le quali esso finanzia l’erogazione dei servizi pubblici.

L’importanza di trasporre il tema impositivo nella prospettiva di un equo bilanciamento tra l’Avere e il Dare di un Stato è a mio avviso fondamentale ma spesso scomodo.

Ragionando per estremi, è meglio subire una pressione fiscale molto bassa e ricevere altrettanto esigui o pessimi servizi pubblici ovvero è preferibile subire un prelievo più sostenuto ma ricevere tutti una copertura di elevata qualità almeno dei servizi primari (istruzione, sanità, sicurezza e giustizia) da parte dello Stato?

Se guardo al sistema svedese, noto che la pressione fiscale complessiva è decisamente maggiore rispetto all’Italia ma l’evasione è pressoché inesistente e la qualità di vita media è superiore all’Italia: infatti, il contributo del Socio al 50/60% è molto elevato ! Al contrario, se misuro l’incidenza tributaria negli USA, le tasse sono inferiori rispetto all’Italia ma gli americani che desiderano dei servizi primari di qualità “accettabile” devono pagarli, per la quasi totalità, di tasca propria. Quale sistema è dunque migliore?

Certo, la facile obbiezione è che in Svezia non si arriva a 10 milioni di abitanti, negli USA sono circa 330 milioni e in Italia siamo 60 milioni. Quindi, la domanda è mal posta perché i tre sistemi non sono paragonabili, tenuto conto dei diversi costi che lo Stato sostiene o dovrebbe sostenere per erogare i servizi primari. Beh, anche la base impositiva è diversa e, pertanto, secondo un elementare principio di proporzionalità, il confronto mantiene un suo merito.

Detto questo, la questione di fondo della ricerca di un equo bilanciamento tra ciò che si dà allo e ciò che si riceve dalla Stato rimane a prescindere dalle accezioni specifiche di ogni paese.

Da questo punto di vista, permettetemi di segnalare provocatoriamente che in Italia lo Stato pretende di mantenere un numero di servizi e di impiego pubblico totalmente sproporzionato rispetto alle proprie realistiche entrate, e –circostanza peggiore- ciò avviene a scapito della qualità e dell’equa distribuzione dei servizi. I risultati sono dicotomici: per un verso, gli ospedali pubblici di Reggio Calabria e di Milano non offrono uguali servizi e, per altro verso, tanto a Milano quanto a Reggio Calabria le attese pensionistiche, a parità contributiva, sono pressoché identiche. Negli USA, credo nessuno possa obbiettare che la sproporzione tra prelievo fiscale individuale e beneficio del cittadino per la spesa pubblica in armamenti sia del tutto evidente.

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E i cittadini cosa dicono? A me pare che ovunque nel mondo, il singolo contribuente argomenti soluzioni a proprio favore richiamando alternativamente tesi di stampo assistenzialista o liberista, a seconda della convenienza del momento. In ogni caso, noto (spesso a partire da me stesso) una fortissima inclinazione a rifuggire da un’assunzione di responsabilità personale per migliorare il sistema. E qui torniamo alle idee che ho espresso in ALTERITÀ E CAPITALISMO .

In particolare, l’estensione anche al singolo individuo, insieme allo Stato e al mercato, della responsabilità per un migliore sistema economico e sociale consentirebbe di superare gli ostacoli che impediscono di correggere il regime tributario di un paese, con ciò riducendo pure le disuguaglianze di servizio pubblico tra i cittadini.

A mio parere, per esempio, la necessità che lo Stato garantisca una copertura sanitaria per tutti è fuori discussione: agevolare tale obiettivo scandendo il costo del ticket sanitario in maniera proporzionale al reddito è certamente condivisibile. Al contrario, non comprendo perché debba essere lo Stato a preoccuparsi della sussistenza economica in età pensionistica, sollevando l’individuo dalla responsabilità di crearsi un percorso di risparmio durante la vita lavorativa. Altrettanto, non esito a pensare che se l’attuale livello di occupazione pubblica pregiudica la qualità e l’equa distribuzione dei servizi primari, lo Stato dovrebbe aiutare quei dipendenti pubblici impiegati nei tanti rami secchi della burocrazia a trovarsi un altro lavoro ovvero a licenziare quei dipendenti pubblici che si riscontra siano di fatto nulla facenti perché neppure lo Stato ha l’obbligo di garantire un lavoro ai cittadini.

Diciamo la verità: benché si siano sprecate tante parole invano, l’equità distributiva dei servizi pubblici non è una priorità né per lo Stato, che dovrebbe tagliare la spesa pubblica superflua rinunciando a qualunque forma preordinata (e spesso opportunistica) di assistenzialismo ideologico, né per i cittadini, che dovrebbero assumersi una vera o maggiore responsabilità personale verso il bene comune. Fino ad ora è stato più comodo continuare ad evocare la redistribuzione della ricchezza, da una parte, e la libera affermazione del proprio successo, dall’altra: il risultato, tuttavia, di tale contrapposizione continua non soddisfare i più.

È, quindi, facile intuire perché sia scomodo prospettare la discussione sulle tasse nell’ottica di un equilibrio tra le due facce della stessa medaglia tributaria. È poco consono ai cittadini perché comporterebbe un’assunzione di responsabilità per la quale si dovrebbe essere pronti a perdere qualche “preteso diritto”, ingiustamente ritenuto come “acquisito”; di conseguenza, è scomodo alla politica perché richiederebbe prese di posizione probabilmente antitetiche alla logica del consenso.

Voi che dite ?

Simone Rondelli

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Alterità e Capitalismo