MISSION: facilitare o amplificare la capacità dell’azienda nel proporre Leadership nel cambiamento, Critical Thinking, Entrepreneurship, Complex Problem Solving,
aumentando la contribuzione di ogni individuo coinvolto in tale processo.

Le procedure limitano la crescita economica …

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In questi ultimi mesi, il mondo economico-finanziario si sta interrogando se la global economy sia già o stia entrando in un periodo di recessione, ossia quella fase del ciclo economico in cui la crescita economica rallenta o – per dirla tecnicamente – si è in presenza di una variazione negativa del Prodotto Interno Lordo “tendenziale” (cioè rispetto all’anno precedente).

Le risposte non sono mai univoche ma vi è abbastanza convergenza nel ritenere, da un lato, che la recessione sia quantomeno alle porte ma, dall’altro, che il problema vero non sia se o quando arriva, quanto invece la magnitudine e la durata attesa della stessa: e sul punto, ognuno dice la sua.

Fermo restando che teoria e pratica economica giustamente devono investigare i momenti congiunturali del sistema, il tema della recessione ricorre per molti quasi come un ragionamento meccanico, vale a dire un interrogativo cui dare una risposta secondo una procedura che accompagna l’evolversi di ogni ciclo economico. Pare che il focus principale sia riuscire a segnare il punto giusto sulla sinusoide, che descrive gli stadi della vita economica, così da poter dare per scontato cosa seguirà a quel punto, ossia senza interrogarsi troppo su come e perché ci si trovi oggi proprio lì.

Per quanto poco rilevi, a mio parere il tema-recessione è senza dubbio meno importante di un’altra caratterizzazione del nostro tempo: la velocità e la profondità dei cambiamenti che modificano la domanda e conseguentemente l’urgenza di adeguarne l’offerta. Oggi viviamo in mercati dominati dai consumatori e non più dai produttori, salvo quei pochi ancora in grado di influenzare le scelte dei consumatori. MA, interrogarsi sulla capacità di adattamento ai cambiamenti non fa parte della procedura analitica del mondo economico e quindi se ne dibatte molto ma molto meno di quanto sarebbe necessario.

Naturalmente, ci sono tantissime menti ben più raffinate della mia che trattano questo argomento del cambiamento da anni; tuttavia, nel novero complessivo dei dibattiti esse rimangono eccezioni, magari eccellenze.

Ho preso le mosse dalla contrapposizione di importanza tra recessione e adeguamento ai cambiamenti perché sono molto preoccupato che anche la procedura standard di analisi economica non sia più sufficiente, e ancor più temo che se continuiamo a lasciare che la vita sia scandita per la maggior parte da procedure, i nostri giovani avranno davvero tantissime insuperabili difficoltà.

Prima di andare oltre, forse è opportuno chiarire la distinzione – per me essenziale - tra regola e procedura.

Le REGOLE stabiliscono, prima di ogni altra cosa, dei principi o criteri cui attenersi nell’agire, e talvolta prescrivono anche comportamenti specifici con un grado di obbligatorietà diverso a seconda dei casi: la regola è, comunque, tale se “chiede” alla persona cui è rivolta di mettersi in relazione con il principio sottostante. Pensate alle regole scientifiche che per essere applicate richiedono non solo la comprensione del principio ma anche l’interpretazione dei dati disponibili; non diversamente l’agire secondo le norme giuridiche; un po’ meno stringente ma pur sempre applicabile anche in campo economico.

Al contrario, le PROCEDURE, note anche come protocolli, determinano una sequenza di comportamenti cui uniformarsi senza che debba necessariamente ricorrere un principio o criterio sotteso e tantomeno che sia richiesto al destinatario di comprendere ed interpretare: pur non potendo escludere l’esistenza di eccezioni, lo spirito delle procedure non pone alcuna relazione tra il comportamento prescritto e le ragioni sottese alla prescrizione stessa.

In ambito aziendale, le procedure e i protocolli sono imperversati da quando si è inseguita disperatamente la “scalabilità economica”, ossia la capacità di replicare il proprio servizio o prodotto con il minore investimento complessivo possibile, così da aumentare i volumi ad un costo unitario sempre inferiore. L’esempio più facile è quello dell’investimento in macchinari produttivi, quando la maggior qualità spesso viene sacrificata in nome della massificazione del prodotto. Altro caso su cui vale la pena riflettere riguarda i protocolli ospedalieri, specie se privati, dove tempi di degenza, terapie e turni di servizio spesso rispondono molto più ad un foglio elettronico di excel che non ad un principio di miglior assistenza sanitaria.

Ma non è molto diverso quando si pensa ad amplissime masse di lavoratori cui viene richiesto di ripetere in modo quasi ipnotico le stesse manovre o funzioni giorno dopo giorno. E non penso soltanto agli operai di fabbrica, che in realtà per amore o necessità possono relazionarsi con le qualità di un prodotto fisico, ma soprattutto al terziario: forza lavoro, che si conta con le decine e a volte le centinaia di migliaia, molto spesso chiamata o indotta a supinamente eseguire quello che qualcun altro ha codificato in serie oppure che è costretta a dover dedicare ore ed ore a compilare moduli e qualcun altro a controllare i medesimi moduli.

In realtà, oltre allo spazio lavorativo, oggi tantissime scelte si risolvono in realtà nell’adesione ad una procedura che qualcuno ha stabilito e che, pertanto, evita un’attribuzione di responsabilità diretta in capo a chi compie la scelta.

Si pensi alla sequenza scuola superiore-scelta universitaria-ricerca del lavoro; oppure nello sviluppo degli agonisti sportivi, i giovani candidati sono uniformati a schemi di allenamento e di competizione come se avessero tutti il medesimo fisico, la stessa maturità e senza porsi domande sugli effetti collaterali possibili di certi stress ad età diverse; nella politica, cliché comportamentali ripetuti a protocollo con grande attenzione a non affermare principi distintivi, per paura di non trovare consensi ma anche per poi svegliarsi una mattina e trovarsi la fazione opposta, resasi portabandiera di un pensiero magari anche semplicissimo, con la maggioranza dei voti.

Ben intendiamoci, alcune procedure sono necessarie per facilitare i tanti impegni in ogni ambito ma ciò che combatto è la mentalità della procedura, è il predominio di essa su tutto. Forse c’è maggior bisogno di vere regole, le quali discendano da un pensiero condiviso e siano strumentali ad una crescita in cui i più possano trovare spazio e capacità di contribuzione; indubbiamente occorre ridare alle tante persone obnubilate dalle procedure o dalla relativa forma mentis la chance di riscoprire il loro vero valore, anche perché di esso vi è assoluto bisogno.

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Tornando al mondo dell’economia e soprattutto del lavoro, francamente penso che coloro (aziende, paesi, sistemi economici) che non riusciranno ad attrezzarsi per affrontare i cambiamenti saranno straordinariamente penalizzati e le differenze si acuiranno pericolosamente. Ricordo che la recessione si misura come risultato complessivo del PIL e che storicamente non si è data troppa enfasi a come si formava il totale perché tendenzialmente quando andava male, così era per tutti e viceversa. All’incedere dei cambiamenti attuali, invece, noi potremo ben trovarci risultati aggregati positivi o negativi quale scostamento marginale tra la somma di pochi cui “è andata straordinariamente bene” e molti i cui risultati oscillano tra male e malissimo. Occorre ricordare, però, che quando gli esiti di fine anno diventano troppo negativi per troppe persone, si rischia di trovarsi impreparati davanti a rivolte sociali, e ciò non è bello.

Affrontare con successo il cambiamento significa riscoprire e riconoscere il valore di ogni persona che è presente nel contesto di riferimento: per assicurarsi il buon esito nell’adattamento al cambiamento occorre il contributo di tutti, altrimenti ipso facto non si cambia.

La mentalità della procedura ignora la persona: essa è contemplata come mero esecutore di una sequenza di azioni ma non è chiamata a dare un proprio contributo, quindi a sentirsi parte in causa e valorizzata per ciò che svolge. In questo modo, molte aziende e molte persone non conoscono le potenzialità dei propri dipendenti o di se stesse e, pertanto, non riescono a mettere a frutto la piena capacità di value creation. Ecco perché occorre suonare l’allarme verso le procedure; ecco perché a partire dalla scuola, ogni persona deve cercare di imparare ad essere in grado di conoscere l’altro da sé, di sviluppare idee che possano soddisfare se stessi e gli altri allo stesso tempo, più che imparare a fare meccanicamente un mestiere.

La crescita economica richiederà sempre più l’abilità di comprendere in anticipo i bisogni degli altri e di individuare la soluzione attraverso prodotti e servizi in grado di soddisfare tutti coloro che partecipano al raggiungimento della soluzione stessa; ciò significa riuscire a dare valore ad ogni persona presente nel cammino di sviluppo della soluzione affinché ella si impegni al massimo per restituire beneficio al sistema economico cui appartiene.

Per tutto questo, non penso che le procedure siano gli strumenti adatti per accrescere il benessere !

Simone Rondelli

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