MISSION: facilitare o amplificare la capacità dell’azienda nel proporre Leadership nel cambiamento, Critical Thinking, Entrepreneurship, Complex Problem Solving,
aumentando la contribuzione di ogni individuo coinvolto in tale processo.

Prossimo e Successo

La Centralità del Prossimo come paradigma per il Successo

Quando inseguiamo il Successo, in realtà ci poniamo in una delle seguenti circostanze: vogliamo ottenere ciò che non abbiamo, oppure desideriamo mantenere ciò che temiamo di perdere, oppure intendiamo riconquistare ciò che abbiamo perduto. In qualunque dei tre casi, il nostro obiettivo è passare da un stadio-presente di insoddisfazione o parziale soddisfazione, che definiamo Problema, ad uno stadio-desiderato di soddisfazione o maggiore soddisfazione, che d’ora in poi chiamiamo Obiettivo.

Senza perdersi in infiniti esempi, la tensione dal Problema all’Obiettivo è riscontrabile in tutti i campi della nostra vita: sentimentale, professionale, sociale, economico, sportivo, e così andare.

Il punto, però, è cercare di comprendere quali passaggi concettuali segnano il cammino verso il Successo come sopra circostanziato. Ripercorrendo quanto da me vissuto e osservando situazioni a me estranee, ho trovato un fattore comune che ho riassunto in 5 passaggi +1:

Analisi del Problema: inteso come relazione tra la mia percezione di insoddisfazione e quella di chi condivide il mio ambito di vita. Si pensi ad un caso in cui avverto la sete, il pensiero corre ad ingerire del liquido dissetante: ora si pensi a che differenza c’è tra il medesimo sintomo (sete) e lo stesso obiettivo (bere) ma in un caso, seduto sul divano di casa e in un altro, durante la traversata del deserto in una spedizione. Non solo risulta evidente che il cambiamento del contesto segna un diverso percorso verso l’obiettivo ma anche che la mia percezione della sete esaurisce lo stato complessivo di insoddisfazione se sono seduto a casa ma non durante la spedizione, quando anche la percezione di sete dei miei compagni incide sulle soluzioni possibili per giungere all’Obiettivo. Quindi, analizzare il Problema significa inquadrare il mio personale stato di insoddisfazione in una cornice più ampia che include tutti quelli che sono presenti nel percorso, e perciò stesso coinvolti;

Ricorso alla Conoscenza: devo immaginare un’ipotesi di soluzione per progredire verso l’Obiettivo: lo strumento principe, oltre alla capacità di chiedere aiuto, è la mia conoscenza, ossia non soltanto le nozioni ma soprattutto le relazioni tra me e chi mi ha preceduto in tutti quegli ambiti che in questo momento possono suggerire elementi utili ad una soluzione;

Generazione di un’Idea: un’idea non è il mero frutto dell’estemporaneità. Non c’è idea se non c’è consapevolezza di un bisogno da soddisfare. L’analisi del Problema definisce il bisogno e chi vi è coinvolto, la conoscenza mette a disposizione della mente gli strumenti, mentre la generazione di un’idea significa immaginare una soluzione statica della soluzione al Problema, come scattare una fotografia che diventa tanto più suggestiva quanto più ritrae non solo l’individuo ma anche chi lo circonda e i rapporti tra essi. Tuttavia, l’Idea di per sé non soddisfa il bisogno, non basta per giungere alla meta ma segna una traccia maestra da cui partire per passare alla progettualità;

Esecuzione di un Progetto: sulla scorta della traccia, l’Idea, si imbastisce un Progetto in cui si accolgono le idee anche di chi è necessario coinvolgere, si raccolgono le competenze necessarie e soprattutto si trova un momento di sintesi nel quale tutte le iniziative da svolgere per il raggiungimento dell’Obiettivo vengono organizzate in un ordine compiuto e progressivamente eseguite. Nell’esecuzione si deve, inoltre, accettare a vario titolo il dinamismo degli eventi e delle persone e aggiustare, quindi, il “tiro”, ossia il Successo che risulta di volta in volta realisticamente raggiungibile;

Misura del Successo: giunti a destinazione, non è detto che ci trovi esattamente dove ci si era prefissi. Se ci si ferma prima della destinazione agognata, occorrerà valutare cosa è accaduto e compiacersi per il grado di soddisfazione raggiunto, date le circostanze, ovvero far tesoro degli errori commessi.

Il +1 è la Comunicazione perché è l’elemento che ritroviamo in tutti i passaggi, anzi, è il vettore che fa transitari i messaggi e i contenuti all’interno di ciascuno e dall’uno all’altro dei 5 passi.

E qui arriviamo alla mia (convintissima) provocazione.
Durante il cammino dal Problema all’Obiettivo, ritengo che ‘il criterio più efficace per orientare le proprie decisioni verso il Successo sia quello di riconoscere il prossimo e, soprattutto, valutare le conseguenze (soprattutto benefiche) che le proprie azioni possono produrre sul medesimo.

In che maniera l’Altro da sé incide sul mio Successo?

Ora, se metto in relazione chi sono i soggetti coinvolti in ciascuna fase del passaggio dal problema alla soluzione con il tempo in cui il coinvolgimento tra i soggetti avviene, giungo, in via schematica, alle seguenti corrispondenze:

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Ciò che non può sfuggire, nel quadro generale, è l’innegabile evidenza che la relazione umana è imprescindibile, ineliminabile e sempre prioritaria. Non vi è scoperta scientifica o innovazione tecnologica capace di soppiantare l’essenzialità e l’unicità dell’essere umano nel progresso che porti benessere.

Ora, benché molti – non necessariamente a torto – enfatizzano la conoscenza di se stessi come pietra miliare del proprio stato di soddisfazione, rimane che l’Altro da sé ricopre un ruolo centrale in ciascuna delle cinque fasi che portano dal Problema alla Soluzione:

per inquadrare il Problema occorre chiedersi chi altro è coinvolto rispetto al mio sintomo di insoddisfazione (anche altri hanno sete?), come gli altri si relazionano tra essi e con me (la sete viene da disidratazione o malattia?), di quali benefici possono godere gli altri nel perseguire il mio obiettivo, se è un problema che porta con sé una risposta conosciuta (nel caso in cui mi trovo a casa) o si deve elaborare un percorso ad hoc (nel caso della spedizione nel deserto) e, infine, se conosciamo casi precedenti simili;

quanto alla Conoscenza, è opportuno domandarsi che relazione c’è tra l’esperienza di altri nel passato e la mia condizione attuale, nonché quali verità, anche se parziali, sono state acquisite nel tempo;

per generare un’Idea che sia suscettibile di trasformarsi in un progetto occorre immaginare una soluzione che non solo contempli gli stessi attori che vivono il contesto in cui sorge il problema ma soprattutto che contempli i loro benefici insieme al mio nel giungere all’Obiettivo;

per definire ed eseguire un Progetto i benefici di tutti i partecipanti devono emergere in modo chiaro ed essere “gestiti” in continuità. La più efficace sintesi della centralità dell’Altro da sé durante un progetto (aziendale) mi è stata espressa da un importante manager quando mi ha fatto presente che in assenza della percezione di benefici reali il massimo che puoi ottenere da collaboratori e dipendenti è “compliance”, ossia corretta esecuzione del mansionario. Quando, invece, l’azienda dimostra concretamente che le sta a cuore il loro beneficio, allora tutti i lavoratori danno “commitment”, ossia l’impegno a creare valore a prescindere dal o oltre il mansionario;

per misurare il Successo occorre valutare l’incremento di soddisfazione tanto individuale quanto dell’intero contesto di vita in cui il percorso si è articolato, o meglio di vi prende parte.

Nella Comunicazione, il tutto è ancor più immediato se la si concepisce come il superamento delle differenze nella relazione sé/altro secondo il principio di responsabilità delle risposte.

Soffermandosi su ciascuno dei cinque momenti chiave nella ricerca delle soluzioni, si può scoprire che la mia provocazione in realtà è riducibile ad un invito molto semplice ma, al contempo, fortemente contro-corrente nel pensiero moderno:

assicurati che chi ti circonda incrementi la propria soddisfazione se vuoi raggiungere i tuoi obiettivi!

Qual è la differenza con quanto vedo accadere abitualmente in larga scala?

E’ naturale ed inevitabile che, per la natura stessa di insoddisfazione, la persona ponga se stessa, o meglio il proprio Io, avanti a tutto in quanto lo stato di disagio avvertito è personale. Il tema immediatamente successivo è se la soluzione dello stesso problema debba rimanere circoscritto alla sfera individuale in cui è sorto ovvero se questa debba essere ricercata nel più ampio contesto di relazioni che il singolo vive in quel momento. Anche in questo caso, la risposta appare scontata ai più: non posso prescindere dal contesto ed anzi in esso devo cercare la soluzione. Il dibattito si apre, invece, quando occorre scegliere come atteggiarsi rispetto alle ‘istanze’ degli altri durante il processo di risoluzione del problema.

Spesso la civiltà contemporanea supera l’empasse attraverso la totale indifferenza. Ancora più frequentemente, soprattutto quando non è possibile o non conviene fingere che gli altri non ci siano, capita di vedere l’equazione risolta attraverso un’attribuzione di priorità subalterna: prima compiaccio il mio anelito e poi, se rimane tempo e senza alcuna modifica di ciò che ho ottenuto, non mi oppongo a che anche gli altri soddisfino le proprie esigenze.

E’ pacifico che sia possibile seguire una via strettamente individualista nel procedere della vita e nella soluzione dei problemi ma col passare del tempo le possibilità di cedimenti aumentano a dismisura. La storia dei regimi autoritari, per estremo, è una valida analogia!

Al contrario, recepire le richieste o le attese di chi ci circonda come proprie e darvi prioritaria o simultanea soddisfazione spiana la strada per giungere a ciò che individualmente si desidera, minimizzando i rischi di avversioni prima del proprio traguardo, poiché alimenta il sostegno degli altri. In altre parole, il primato dell’alterità avvia un processo di crescita del bene di tutti che non solo si rende immediato viatico del beneficio personale ma crea un circolo virtuoso che alimenta nel tempo il perdurare degli effetti: così convergono crescita e sostenibilità di qualunque sistema in cui è calata la vita umana.

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Bene! Tante belle parole ma come si fa in concreto?

Non si tratta di saper fare ma è una questione di saper essere. La centralità del prossimo non è l’oggetto di una procedura, ma il principio di un metodo di vita: in altri termini, non esiste una lista standard di comportamenti da tenere o attività da svolgere (procedura) che pongono al centro l’Altro da sé, ma è il succedersi di una sincera tensione a porsi domande, osservare e ascoltare le risposte anche degli altri (presenti e passati), da un lato, e a modulare conseguentemente le azioni che si decide di intraprendere, dall’altro, che forma un metodo di vita centrato sull’alterità.

Nota importante: Alterità è cosa ben diversa dall’Altruismo. L’Alterità qui richiamata si concentra sul percorso che la persona intraprende per raggiungere uno scopo, interesse o beneficio personale, senza quindi stabilire una relazione di subordinazione del piano individuale rispetto a quello del prossimo; al contrario, l’Altruismo – in versione autentica – richiede una qualche forma di o predisposizione alla gratuita rinuncia di un interesse proprio al fine di consentire al prossimo di elevare lo stato di soddisfazione presente.

Simone Rondelli

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