MISSION: facilitare o amplificare la capacità dell’azienda nel proporre Leadership nel cambiamento, Critical Thinking, Entrepreneurship, Complex Problem Solving,
aumentando la contribuzione di ogni individuo coinvolto in tale processo.

Relazioni poco conosciute

Strano ma vero, ciascuno di noi è chiamato a vivere insieme ad altre persone.

Per quanto ovvia in teoria, nei fatti questa affermazione sembra riferirsi ad un pianeta diverso dalla Terra: non mi riferisco solo alla diffusa indifferenza ma più radicalmente alla quasi inesistenza che l’individuo tende ad attribuire all’insieme di cose e persone che lo circondano quando è chiamato a decidere le proprie azioni.

La distorta concezione di libertà discussa nel primo articolo di questo Blog ha giocato indubbiamente un ruolo centrale nella cultura degli ultimi 50 anni, ma in quella lettura, almeno, l’Altro è riconosciuto, come limite alla propria libertà.

La dominante forma mentis contemporanea, invece, manco più “vede”, anche fisicamente, il prossimo. Recentemente mi sono capitati ripetutamente alcuni episodi che mi hanno proiettato in questa follia:

  • sono seduto nel sedile posteriore di un taxi fermo ad un semaforo quando una persona apre lo sportello cui ero appoggiato e cerca di entrare: il taxista sbotta, io le chiedo quali intenzioni abbia e questo strano personaggio inveisce dicendo “non si trova mai un taxi libero!” Naturalmente, il taxi aveva la piccola insegna esterna spenta in segno di “occupato” ed eravamo in mezzo alla strada;

  • all’uscita del garage del palazzo dove vivo ci sono due cartelli che indicano “Passo Carrabile-Lasciare libero il passaggio”, ciononostante l’area di uscita sembra il parcheggio preferito dei conducenti dei camioncini per le consegne a domicilio: se ti azzardi a sollecitare il tuo diritto a transitare, vieni per lo più totalmente ignorato o al più ricevi una risposta del tenore “Sto lavorando, cosa vuoi?”

  • il traffico sul marciapiede è infine l’apoteosi: biciclette che ignorano i passeggini, persone assorbite dal proprio cellulare che urtano i vicini come birilli fino al punto di andare a sbattere esse stesse contro cestini pubblici o pali della luce.

Per quanto assurdo possa apparire, oggi il primo obiettivo che sarei felice venisse raggiunto è che le persone vedessero e accettassero che altri esseri viventi e cose inanimate li circondano e insieme ad essi formano il contesto in cui sono chiamati a vivere.

“Vedere” significa riconoscere che la propria vita si svolge in un ambiente in cui sono presenti altri soggetti, mentre “Accettare” equivale a considerare che esiste una qualche relazione con tali compresenti, ossia che il proprio esistere ed agire producono e subiscono effetti rispettivamente su e da l’ambiente in cui la vita si svolge.

Senza prendere atto del contesto, l’individuo non può pensare di migliorare in modo duraturo e non estemporaneo il proprio benessere. Sarebbe come desiderare di giocare a calcio ignorando l’arbitro, i propri compagni e gli avversari: a prescindere dall’intrinseca contraddizione, verrebbe meno il divertimento. Tornando alle mie recenti esperienze, i pedoni in cerca di taxi non hanno soddisfatto la propria esigenza; gli autisti dei camioncini per le consegne spesso devono ricaricare la spesa e cercare un altro parcheggio, con ciò perdendo il tempo che auspicavano di risparmiare fermandosi sul passo carrabile.

Il riconoscimento del contesto è il punto di partenza ma non basta. Il passaggio mentale successivo, infatti, è il più delicato dell’intera struttura culturale che con queste pagine voglio provocatoriamente proporre:

Quale tipo di relazione esiste tra chi condivide il medesimo ambiente?

Le risposte possono essere molteplici e straordinariamente distanti. Ricordando che è prerogativa di questo intero Blog prescindere da accezioni confessionali di sorta, il responso non può che calarsi nella dimensione “naturalmente egoistica” dell’individuo, vale a dire in funzione della ricerca di maggior soddisfazione che ciascuno di noi è teso in natura a perseguire. Vediamone solo alcuni esempi concettuali che – è bene ricordare – non sono sempre autoescludenti ma, al contrario, possono convivere nella stessa persona a seconda delle circostanze.

  • Nessuna Relazione: il malvivente non si ferma davanti a nulla pur di ottenere ciò che vuole;

  • Relazione neutrale: la presenza dell’Altro non ha alcun rapporto con le mie decisioni salvo, per quanto stabilisce la legge, non poterlo ledere;

  • Relazione negativa di limite alla libertà: se ritengo l’Altro un intralcio al raggiungimento dei miei obiettivi, posso/devo “eliminarlo” nei limiti previsti dal rispetto della legge;

  • Relazione indiretta di estraneità: mi adopero affinché non esista alcun punto di contatto con l’Altro, intendendo annullare alcuna possibile interferenza reciproca rispetto ai miei obiettivi;

  • Relazione diretta di subalternità opportunistica: l’Altro rileva nella misura in cui è un soggetto che cerco di manipolare al fine di portarlo, di volta in volta, a facilitare i miei benefici;

  • Relazione diretta “commerciale”: attendo che l’Altro mi porti un vantaggio per ricambiare o, viceversa, mi presto a recare beneficio all’Altro a condizione di ricevere un payback, senza che i rispettivi obiettivi siano tra essi necessariamente collegati. Resta inteso che se il do-ut-des non si perfeziona, allora l’Altro diventa immediatamente indifferente o avversario da combattere;

  • Relazione di solidarietà: di fronte all’Altro bisognoso, mi attivo per aiutarlo a migliorare il suo stato presente, ma senza creare alcun legame strutturale con i miei obiettivi, ad eccezione di quelli caritatevoli, dei quali mi aspetto mi sia riconosciuto merito;

  • Relazione di collaborativa convivenza: non ostacolo in alcun modo il cammino dell’Altro verso i suoi obiettivi e anzi mi preoccupo di agire per favorirne il raggiungimento nella misura in cui essi coincidono con i miei.

La provocazione che intendo sottoporre oggi è di allargare il novero di risposte ad una in più nella quale credo fermamente perché ne ho fatto esperienza tutte le volte che sono riuscito a raggiungere i successi più grandi della mia vita:

  • Relazione diretta di interdipendenza: dare priorità alle esigenze di chi condivide il mio stesso ambiente genera un senso di appartenenza dell’Altro al percorso verso i miei obiettivi tale per cui aumenta la velocità e stabilità nel raggiungerli e mantenerli.

È importante cogliere le differenze tra la relazione di interdipendenza con le altre relazioni dirette sopra elencate:

  • Interdipendenza e Subalternità opportunistica: nella seconda gli obiettivi dell’Altro non entrano mai in gioco;

  • Interdipendenza e Relazione “commerciale”: nella seconda gli obiettivi individuali e dell’Altro non hanno dipendenze reciproche, gli uni non appartengono al percorso di raggiungimento degli altri ma si relazionano come “corrispettivi” per prestazioni distinte in contesti ritenuti a sé stanti, non come un unicum in cui vengono compresi gli uni e gli altri;

  • Interdipendenza e Collaborativa convivenza: nella seconda relazione, il senso di appartenenza si crea solo in caso di coincidenza degli obiettivi, mentre - in caso di interdipendenza - i miei obiettivi e quelli dell’Altro possono divergere e inizialmente anche confliggere. Ciononostante, la priorità all’Altro non muta.

La differenza con le altre tipologie di relazioni è intuitiva.

Una relazione diretta di interdipendenza pone l’individuo nelle condizioni di (i) comprendere la cornice entro cui cercare di disegnare la propria vita presente e futura, e (ii) aumentare in modo strutturale le forze in campo verso il proprio benessere. Al punto che pure l’eremita, che vive in una condizione di isolamento assoluto, è chiamato a misurare il proprio anelito spirituale sulla base di un contesto in cui deve riconoscere ed accettare la “non-relazione”, la quale rimane, tuttavia, una relazione con coloro che prima della scelta lo circondavano o avrebbero potuto circondare.

La più importante conseguenza di questa particolare relazione diretta risiede nella necessità di dover decidere le azioni per giungere ai propri obiettivi in funzione delle caratteristiche proprie dell’ambiente di riferimento, ossia le persone e le cose presenti nello specifico spazio e tempo in cui affronto il problema. L’esempio già presentato in precedenza dell’aver sete, da un lato, e trovarsi in ambienti diversi (a casa o durante l’attraversata del deserto) rende facilmente intuibile la necessità di adattare le azioni alla situazione ambientale.

A questo stadio, però, è doveroso sottolineare che il novero di azioni perseguibili è scandito in prima istanza dai valori che ciascuno porta con sé nel perseguire i propri obiettivi: questi valori – sia ben chiaro - preesistono alle azioni specifiche e, quindi, non possono dipendere da con chi/cosa trascorro il quotidiano. Continuando l’esempio, avvertendo la sete durante la traversata del deserto, la scelta se uccidere i miei compagni di viaggio per rubare le loro borracce o cercare una soluzione diversa non dipende dall’essere nel deserto in compagnia! Tutt’al più è il contrario, ossia se nell’ambiente in cui mi trovo non mi è possibile vivere secondo i valori cui intendo aderire, allora il mio obiettivo primo potrebbe ben essere quello di cambiare contesto.

In altre parole, la centralità del prossimo è il filo conduttore, il criterio guida che mi accompagna tanto nel capire dove sono quanto dove voglio andare.

Simone Rondelli

articolo.pdf
abstract.pdf

Ma Vera-Mentee?