MISSION: facilitare o amplificare la capacità dell’azienda nel proporre Leadership nel cambiamento, Critical Thinking, Entrepreneurship, Complex Problem Solving,
aumentando la contribuzione di ogni individuo coinvolto in tale processo.

E se fosse la cultura il nuovo motore dell’economia?

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Perché farsi questa domanda proprio oggi quando il sistema economico parla all’unisono da almeno 20 anni di tecnologia e innovazione come i sancta sanctorum da cui discenderanno crescita e sviluppo del prossimo futuro?

Perché chiedersi che ruolo gioca la cultura nella partita della vita, in particolare quella economica, quando da due anni sharing economy, economia inclusiva e economia circolare sono già emersi quali nuovi trend culturali necessari per salvare il mondo?

Per quanto mi riguarda, credo sia venuto il momento di dire apertamente che il linguaggio comune mal cela un’ignoranza non più sopportabile, da un lato, e un gioco di parole (spesso malizioso) volto a non diffondere troppo ciò che sta veramente accadendo, dall’altro. È ora di affermare con forza che cultura e economia non stanno su piani separati e tantomeno alternativi, che per i giovani (fino ai 40/45 anni) la formazione culturale sarà l’unica vera arma per vivere da protagonisti la frenetica sequenza di cambiamenti che li aspetta, che sviluppo e progresso non hanno il medesimo significato e di progresso (in senso storico o antropologico e non politico) non parla più nessuno da tanto.

Soprattutto, credo sia ora di riconoscere umilmente che le persone si sono rotte le palle dei soli esperimenti proposti dalla scienza e dal metodo scientifico e chiedono a gran voce di vivere nuove esperienze ma è stata loro tolta una guida, anche solo metodologica, per trovare oppure godere pienamente di queste nuove esperienze, e si arrabattano come possono. Si pensi solo allo stravolgimento avvenuto nel turismo in nome dell’esperienza! Questa va oltre l’esperimento: l’esperienza include le sfere del sentimento, dello spirito, dell’impegno, dell’emozione, del dono, dell’umanità, tutte insite nelle relazioni che rappresentano l’essenza dell’essere umano. Poiché, però, l’esperienza non può essere tradotta in uno o più numeri, il mondo contemporaneo la relega troppo spesso a piani di indifferenza se non a punti di debolezza: il binomio ‘meritocrazia-produttività’, dominante in ogni spazio economico, è la prova più eclatante del disdegno di tutto ciò che non può essere ridotto a numero, che non è quindi traducibile in guadagno monetario, con ciò peraltro legittimando quelle disuguaglianze che molti dicono (falsamente) di voler combattere.

A costo che qualche lettore si risenta, e me ne scuso sin da ora ma nulla di personale, quando ascolto chi si interroga se “con la cultura si mangia” mi innervosisco moltissimo perché vuol dire che ci siamo ridotti tutti (senza voler indicare né vittime né carnefici) ad uno stadio di ignoranza pericolosissima:

la storia dell’uomo, non il sottoscritto, dimostra in modo incontrovertibile che con la cultura si VIVE, il che include anche il mangiare. ma non si limita così tanto ad esso.

La rabbia e il pericolo sorgono perché sono portato a concludere che in generale stiamo rinunciando a VIVERE e ci accontentiamo di mangiare. Eh no !!!! … E in ogni caso, certo che con la cultura si può anche mangiare ma occorre, come in ogni settore, poter essere seri e operare in modo strutturato ed intellettualmente onesto: altro è chiedersi se queste condizioni siano presenti in Italia? In altri paesi funziona, però… E se anche con la cultura non si mangiasse, non v’è dubbio che ci si deve procurare altrimenti il pane ma ciò non impedisce di coltivare la propria cultura comunque e allo stesso tempo!

Facciamo un passo indietro: cosa significa cultura? Senza scomodare filosofi, letterati o grandi pensatori, fermiamoci alla definizione dell’Enciclopedia Treccani (disponibile anche in digitale): L’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’ascolto, l’osservazione [ndr, ‘ascolto’ e ‘osservazione’ sono mie esplicitazioni dell’ ‘esperienza’ citata nel testo], l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito, a sviluppare o migliorare le facoltà individuali, specialmente la capacità di giudizio.

Dunque, la formazione culturale passa attraverso tre momenti: acquisizione delle cognizioni intellettuali, rielaborazione in modo soggettivo ed autonomo delle stesse, e, infine, adattamento della personalità (e del processo decisionale) in conseguenza dei primi due passaggi.

Ora, se combinassi la definizione della Treccani con i testi dell’articolo di Alex Gray “The 10 skills you need to thrive in the Fourth Industrial Revolution” pubblicato dal World Economic Forum nel 2016 [1] e di quello di Joe Myers “8 quotes on the future of capitalism from Davos 2020” [2] di pochi giorni fa (ascoltando anche gli interventi dei manager e imprenditori intervenuti), potrei legittimamente concludere che questo Blog ha ben anticipato l’importanza di Alterità e Capitalismo e che la cultura può a tutti gli effetti ritenersi il motore della futura economia.

Prima di trarre conclusioni, però, osserviamo alcune evoluzioni di certi settori merceologici ai giorni nostri.

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Il vastissimo mondo Retail, da prodotti di massa a quelli di lusso, è guidato da circa 40 anni dalla forza del marchio: ogni sforzo di marketing e comunicazione strategica ha perseguito in modo indefesso l’obiettivo di convincere il consumatore ad acquistare non per la qualità del prodotto (bontà, bellezza, utilità, resistenza, ecc) ma solamente perché contrassegnato da quella Marca. In altre parole, si è trasposto il valore dal prodotto al Brand, che diventa garanzia di qualità a prescindere da quella effettiva. Questo esercizio ha portato, per molti produttori, ad una situazione di scarsa sostenibilità economica perché, da un lato, i costi fissi per sostenere il marchio sono esplosi oltre misura e dall’altro, la ciclicità naturale del business e la recente crisi economica hanno ridotto i volumi di vendita. Risultato: la profittabilità si sta contraendo a ritmi importanti.

Sul fronte del consumatore, l’accesso all’informazione ha reso più facile la comparazione di prodotti e la verifica di qualità intrinseca del singolo prodotto. Di più, il consumatore è in fase di grande mutamento sia perché ha – per quanto detto - acquisito un potere negoziale molto superiore sia perché gli obiettivi esperienziali lo stanno pian piano allontanando dai canoni valoriali proposti sin ora dal marketing. Avete notato che adesso è diventato tutto sostenibile da un punto di vista ambientale o socialmente responsabile? Attenzione, fino a 18 mesi fa questi erano temi di scarsissimo rilievo nel mondo commerciale!!

Conclusione: le nuove strategie Retail dovranno necessariamente prestare molta più cura alla Persona, all’Altro rispetto all’azienda. E chi sarà capace di far questo? Chi avrà una formazione culturale che lo rende capace di comprendere l’esperienza del consumatore in sede di acquisto (i veri nuovi bisogni, la scala valoriale del singolo consumatore e le sue aspirazioni) e di trarre decisioni dalla propria capacità di giudizio, per la quale – magari – la “Bellezza” torna ad essere un valore anche se non è qualcosa di afferrabile o riconducibile ad una formula scientifica.

Volgendo lo sguardo anche all’antipode, la Tecnologia, le considerazioni finali non cambiano di molto se si presta attenzione a certi mutamenti in corso. Apple si affermò nella telefonia per integrazione col mondo internet e per design, poi ha concentrato la forza differenziante nella fotografia, ora punta sempre con maggior vigore sui contenuti di comunicazione, non ultimi quelli televisivi fruibili con il medesimo apparecchio che squilla, e chissà cosa seguirà. Tra i mal di testa di molti altri operatori di questo settore, che a me rimarrà sempre misterioso, credo di non sbagliare se includo i rapidissimi tempi di obsolescenza e l’altrettanto celere trasformazione di ogni sviluppo tecnologico in materia prima di facile reperibilità e soggetta a rapide diminuzioni di prezzi.

In altre parole, in via tendenziale, la sostenibilità economica dell’attività di impresa pare sempre più legata anche in ambito tecnologico ai contenuti, spesso vituperati nel passato: i contenuti però riportano all’utente, alla persona.

Il riemergere della Persona nello spazio della tecnologia sta già ora (im)ponendo le basi per un altro cambiamento epocale: il passaggio DA SVILUPPO A PROGRESSO, in senso storico. Lo sviluppo non presuppone alcun fine specifico (es. costruisco un nuovo telefono con migliori prestazioni tecnologiche a prescindere dalla necessità o domanda a monte), al più cerca di imporlo ex post per trarne profitto; al contrario, il progresso muove dall’intenzione di voler migliorare le condizioni di vita dell’umanità, prima di tutto, ma ciò richiede un riconoscimento di un anelito, di una domanda dell’umanità stessa. Conseguenza imprescindibile: occorre conoscere l’UOMO, averne esperienza e in assenza di cultura questo esercizio è impossibile, a mio avviso.

Detto in altro modo, non c’è progresso senza cultura.

Attenzione, non ho a mente rappresentazioni generali di natura filantropica ma situazioni concrete anche nel business: quando anche giungessi ad un processore elettronico che grazie ai grandi sviluppi HI-TECH consente di giungere al teletrasporto ma a fronte di un fabbisogno energetico insostenibile, in quanti veramente vorrebbero il teletrasporto? Ora, se pensiamo che oltre i due terzi della popolazione mondiale vive in paesi a basso o medio reddito e anche negli Stati ad alto reddito le persone in sofferenza economica stanno moltiplicandosi, credo proprio che il teletrasporto (e tanto altro ancora cui la tecnologia punta) non sarebbe in cima alla lista dei desideri.

In conclusione, la domanda da cui siamo partiti ha senza ombra di dubbio un merito da un punto di vista speculativo anche se la risposta, come sempre, rimane aperta ed è lasciata a ciascuno. Tuttavia, un’economia che presume di sostenersi facendo leva esplicitamente (e, di fatto, esclusivamente) sul sapere scientifico ed implicitamente sull’ignoranza o sull’indifferenza (propria o altrui) culturale in senso proprio, quindi della Persona, non ha futuro.

Simone Rondelli

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[1] https://www.weforum.org/agenda/2016/01/the-10-skills-you-need-to-thrive-in-the-fourth-industrial-revolution/

[2] https://www.weforum.org/agenda/2020/01/quotes-on-the-future-of-capitalism-davos-2020/

Esploravamo Marte, ma ci mancavano le mascherine

Senza pensiero, nulla si crea e tutto si distrugge